60 - Survival Hacking - Studio di registrazione


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May 25 2020 58 mins   28
Ne avevo marginalmente parlato in qualche altro episodio, ma oggi, vi espongo meglio quello che per me è stato un periodo della mia vita tra i più intensi e ricchi di esperienze sia umane che tecniche. In mezzo a strumentazione di altissimo livello e artisti non da meno, una occasione che a pochi è capitata nella vita.

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INFO SUL BRANO DELLA SETTIMANA:
I KALIFOO GROUND sono una band e un laboratorio musicale attiva dal 2008. Formatasi all’indomani della strage di Castel Volturno, il 18 settembre 2008, la loro musica è nata per essere il megafono di un’intera comunità irregolare, non rimpatriabile, sfruttata.

“Quello che voi giornalisti non capite è che Castel Volturno sarà pure un cesso, ma –porca puttana- è il nostro, di cesso. E’ l’unico metro quadrato che abbiamo per vivere e per essere noi stessi. …quindi se voi giornalisti volete scrivere i vostri articoli di merda, benvenuti. Ma quando avete finito, siete pregati di tirare l’acqua, lavarvi le mani, e levarvi dai coglioni! …questo posto, per voi è roba su cui scrivere di tutto, ma per noi è casa!”.
(Twumasi Collins, Ghana)

La formazione è cambiata più volte negli anni, perché la band è l’espressione musicale di un progetto più ampio, il “Laboratorio Artistico KALIFOO GROUND”, che si impegna a creare spazi ed occasioni d’espressione artistica in cui reinventare e stravolgere il concetto stesso di “clandestinità”.

“Non esistono i clandestini. …o meglio, sì, ma non come li intendete voi.
Ci siamo noi e basta. Stronzi che se va bene arrivano al prossimo lunedì!
In questo senso sì, siamo clandestini. A noi ci fermano 5 volte al mese per chiederci i documenti
che non ci vogliono dare. A noi l’ultimo funzionario del comune, magari quello che pulisce i cessi e basta, si permette di farci sentire delle merde solo perché andiamo a chiedere una residenza. A noi ci affittano case tenute su coi cerotti, facendocele pagare il doppio. …quindi sì, siamo clandestini. Nel senso che nessuno ci vuole tra i coglioni, ma che piaccia o no, ci siamo lo stesso. E siamo qui per rimanere”.
(Akaburu Christian, Biafra)

Con il loro messaggio la band ha portato il suo spettacolo musicale in tutta Italia, autoprodotto documentari, collaborato a colonne sonore di film, realizzato mostre fotografiche e tant’altro. Si è guadagnata servizi su televisioni nazionali, speciali su riviste di musica, esibizioni live in radio, ed è stata ospite due volte alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia.
Da un punto di vista tecnico la band è partita come una “posse”, caratterizzata da sonorità reggae e hip hop che affrontava, come affronta tutt’ora, i temi della clandestinità, del razzismo, della camorra, dello sfruttamento lavorativo della manodopera straniera, e della legalità.
Oggi la band affronta gli stessi temi, anche se il genere musicale si è negli anni evoluto grazie ai nuovi membri del laboratorio. Attualmente, i pezzi realizzati dal vivo sono tendenzialmente reggae-folk, rigorosamente in levare. Il tutto annaffiato da vere e proprie jam-session percussionistiche e momenti di open-mic per chi volesse salire sul palco ed improvvisare con i musicisti.

Ad oggi i musicisti sono:

GIAN LUCA (Italia/South Africa)
WADUD (Ghana)
BASQUIAT (Camerun)
STALIN (Nigeria)
SHORTY (Ghana)
CHRISTIAN (Biafra)
GOMEZ (Gambia)
MOSES (Nigeria)

I musicisti sono tanti, i contesti sempre diversi, ma il messaggio da oltre 10 anni è e sarà sempre lo stesso:

“ABBIAMO UN PASSATO CHE CI MANCA.
UN FUTURO CHE NON CI POSSIAMO PERMETTERE.
E SOPRATTUTTO UN PRESENTE
CHE CI TIENE A FARCI CAPIRE IN TUTTI I MODI
CHE NON SIAMO E NON SAREMO MAI I BENVENUTI.

MA QUANDO SUONO, IO NON CI PENSO.
E QUANDO CANTO,
LO FACCIO PERCHE’ ALMENO PER QUELLE DUE ORE
SONO IO IL PADRONE DI ME STESSO”.
(Tibi Saidou Zongo, Burkina Faso)