Commento a Atti 28, 1-10
Quest’uomo è un assassino ... un dio
Nonostante la pioggia, un interludio di quiete dopo la tempesta. L’approdo a Malta è una cordiale accoglienza. I naufraghi, afflitti da freddo e stress, sono confortati da un falò acceso dagli indigeni. Ma anche qui succede un incidente con pericolo di morte. Se sul mare c’era burrasca, a terra c’è una vipera. Si nasconde nella bracciata di sarmenti che Paolo ha raccolto per ravvivare il fuoco. Anche in questa situazione non si tira indietro dal lavorare con le proprie mani. È per lui un punto d’onore: preferirebbe morire piuttosto che fare il contrario (1Cor 9,15). Non è un parassita. Non campa sulla parola che dice, come fanno retori e predicatori. Al contrario, testimonia ciò che dice con la sua vita. Fino a dare la vita stessa.
La vipera, buttata sul fuoco insieme al fascio di legna, salta fuori dalle fiamme e morde la mano di Paolo. Lui la scrolla svelto nel fuoco, ma troppo tardi. La gente di Malta pensa subito che sia un assassino, che gli Dei vogliono punire. Hanno tentato prima con la burrasca, anche al costo di affondare 275 giusti insieme a lui. Deve essere un delinquente particolarmente perverso: scampato non si sa come dal mare, la vendetta divina lo insegue per terra mediante una vipera. Gli indigeni si aspettano che la mano si gonfi e che lui cada stecchito a terra. Con meraviglia succede niente.
Allora il supposto delinquente pensano che sia un dio.
L’episodio serve al lettore per sottolineare ancora una volta che Paolo è un giusto, protetto da Dio sia dalla tempesta che dal veleno della vipera.
E Paolo, come in mare salvò tutti dal naufragio, in terra guarì il padre di Publio e tutti i malati dell’isola che in seguito venivano da lui.
Sostò tre mesi a Malta, in attesa di vento e nave giusta. Nel frattempo non ha certo oziato. Non si dice che abbia evangelizzato. Chi ha letto gli Atti degli Apostoli fino a qui, può supporlo come ovvio.
L’apostolo evangelizza ovunque si trova, sempre spinto dall’amore di Cristo, che “è morto per tutti” (2Cor 5,14).
Sia il viaggio, sia le soste forzate, sia la prigionia, tutto è per l’apostolo opportunità per testimoniare il suo Maestro. Non a caso diceva Nadal dei primi gesuiti: “Casa dell’apostolo è la via”. Tutte le strade, percorse dai piedi dell’uomo che fugge da Dio, diventano luogo d’incontro con ogni fratello per il quale il Signore ha dato la vita. Agli estremi confini della terra, vediamo negli Atti, si arriva non in carrozza o in aereo di prima classe. La Parola si diffonde come il seme sparso sulla terra. Le persecuzioni dei nemici sono la mano stessa di Dio che dissemina la Parola ovunque. E le contrarietà, le vie chiuse e gli incidenti, “tutto concorre al bene di coloro che amano Dio”. (Rm8,28).
La promessa di Mc 16,18 non viene da questo episodio degli Atti. Apparteneva già alla tradizione: è la vittoria sul serpente, la cui menzogna sta all’origine della storia di perdizione e salvezza. La stirpe di Adamo gli schiaccerà la testa (Gen 3,15) salvezza (cf Lc 10, 19!).
Tutta la predicazione di Paolo è una vittoria sulla menzogna che ci avvelenò di morte l’esistenza. Questo racconto sulla vipera è compimento della salvezza promessa, segno di tutta l’attività evangelizzatrice di Paolo.
La Parola, come sempre in Luca, è anche terapia del corpo e salvezza dell’uomo. Il lettore comprende come il discepolo porta a compimento e continua a fare e dire ciò che il Maestro cominciò a fare e dire.
Come in 27, 1-44 Paolo è salvato dalle acque, qui a Malta diventa a sua volta salvatore di tutti e da ogni male.
La salvezza non è una parola vuota, ma il racconto di un fatto di salvezza che viene testimoniato e dato a tutti, con gesti concreti, dove le miserie e i limiti diventano luogo di misericordia e comunione.
Divisione del testo:
a. vv.1-2: buona accoglienza dei naufraghi
b. vv. 3-6: Paolo morso da vipera: da maledetto promosso a Dio
c. vv.:7-10: guarigione del padre di Publio e di tanti altri
Quest’uomo è un assassino ... un dio
Nonostante la pioggia, un interludio di quiete dopo la tempesta. L’approdo a Malta è una cordiale accoglienza. I naufraghi, afflitti da freddo e stress, sono confortati da un falò acceso dagli indigeni. Ma anche qui succede un incidente con pericolo di morte. Se sul mare c’era burrasca, a terra c’è una vipera. Si nasconde nella bracciata di sarmenti che Paolo ha raccolto per ravvivare il fuoco. Anche in questa situazione non si tira indietro dal lavorare con le proprie mani. È per lui un punto d’onore: preferirebbe morire piuttosto che fare il contrario (1Cor 9,15). Non è un parassita. Non campa sulla parola che dice, come fanno retori e predicatori. Al contrario, testimonia ciò che dice con la sua vita. Fino a dare la vita stessa.
La vipera, buttata sul fuoco insieme al fascio di legna, salta fuori dalle fiamme e morde la mano di Paolo. Lui la scrolla svelto nel fuoco, ma troppo tardi. La gente di Malta pensa subito che sia un assassino, che gli Dei vogliono punire. Hanno tentato prima con la burrasca, anche al costo di affondare 275 giusti insieme a lui. Deve essere un delinquente particolarmente perverso: scampato non si sa come dal mare, la vendetta divina lo insegue per terra mediante una vipera. Gli indigeni si aspettano che la mano si gonfi e che lui cada stecchito a terra. Con meraviglia succede niente.
Allora il supposto delinquente pensano che sia un dio.
L’episodio serve al lettore per sottolineare ancora una volta che Paolo è un giusto, protetto da Dio sia dalla tempesta che dal veleno della vipera.
E Paolo, come in mare salvò tutti dal naufragio, in terra guarì il padre di Publio e tutti i malati dell’isola che in seguito venivano da lui.
Sostò tre mesi a Malta, in attesa di vento e nave giusta. Nel frattempo non ha certo oziato. Non si dice che abbia evangelizzato. Chi ha letto gli Atti degli Apostoli fino a qui, può supporlo come ovvio.
L’apostolo evangelizza ovunque si trova, sempre spinto dall’amore di Cristo, che “è morto per tutti” (2Cor 5,14).
Sia il viaggio, sia le soste forzate, sia la prigionia, tutto è per l’apostolo opportunità per testimoniare il suo Maestro. Non a caso diceva Nadal dei primi gesuiti: “Casa dell’apostolo è la via”. Tutte le strade, percorse dai piedi dell’uomo che fugge da Dio, diventano luogo d’incontro con ogni fratello per il quale il Signore ha dato la vita. Agli estremi confini della terra, vediamo negli Atti, si arriva non in carrozza o in aereo di prima classe. La Parola si diffonde come il seme sparso sulla terra. Le persecuzioni dei nemici sono la mano stessa di Dio che dissemina la Parola ovunque. E le contrarietà, le vie chiuse e gli incidenti, “tutto concorre al bene di coloro che amano Dio”. (Rm8,28).
La promessa di Mc 16,18 non viene da questo episodio degli Atti. Apparteneva già alla tradizione: è la vittoria sul serpente, la cui menzogna sta all’origine della storia di perdizione e salvezza. La stirpe di Adamo gli schiaccerà la testa (Gen 3,15) salvezza (cf Lc 10, 19!).
Tutta la predicazione di Paolo è una vittoria sulla menzogna che ci avvelenò di morte l’esistenza. Questo racconto sulla vipera è compimento della salvezza promessa, segno di tutta l’attività evangelizzatrice di Paolo.
La Parola, come sempre in Luca, è anche terapia del corpo e salvezza dell’uomo. Il lettore comprende come il discepolo porta a compimento e continua a fare e dire ciò che il Maestro cominciò a fare e dire.
Come in 27, 1-44 Paolo è salvato dalle acque, qui a Malta diventa a sua volta salvatore di tutti e da ogni male.
La salvezza non è una parola vuota, ma il racconto di un fatto di salvezza che viene testimoniato e dato a tutti, con gesti concreti, dove le miserie e i limiti diventano luogo di misericordia e comunione.
Divisione del testo:
a. vv.1-2: buona accoglienza dei naufraghi
b. vv. 3-6: Paolo morso da vipera: da maledetto promosso a Dio
c. vv.:7-10: guarigione del padre di Publio e di tanti altri