Ragione di Stato | Il Punto della Settimana


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Feb 01 2025 3 mins  
Appare a tutti abbastanza chiaro come la liberazione e il rimpatrio di Nijen Osama Almasri - spietato capo della polizia giudiziaria libica - siano stati dettati da un interesse superiore che, normalmente, si definisce “ragione di Stato”. E’, infatti, più che probabile che, in questa intricata circostanza, il Governo abbia voluto agire badando, essenzialmente, agli aspetti geopolitici della questione, anche a costo di ignorarne le pur non marginali implicazioni di carattere etico. Fino a ieri non l’avevamo neanche mai sentito nominare, ma oggi tutti sappiamo che razza di individuo sia questo potentissimo ufficiale che, in terra di Libia, governa svariati luoghi di detenzione nei quali la tortura, le esecuzioni sommarie ed ogni altro tipo di violenza sono la norma quotidiana. E non a caso, sulla sua testa pende un mandato di arresto emesso, recentemente, dalla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja. Ciò nonostante, Palazzo Chigi ha, evidentemente, ritenuto che dal trattenere nelle patrie galere questo ingombrantissimo ospite, il nostro Paese avrebbe avuto senz’altro più da perdere che da guadagnare. Ad esempio, il flusso dei migranti che attraversano il Canale di Sicilia è, attualmente, diminuito, ma basterebbe poco per indurre la Libia a modificare quell’atteggiamento abbastanza collaborativo che – a modo suo, si intende – negli ultimi anni, ha adottato sul controllo delle carrette del mare. E poi, ci sono i grandi interessi dell’ENI da tutelare ad ogni costo, mettendoli al sicuro da certi sgambetti che magari potrebbero tentare qualche amico d’Oltralpe – vedi il gruppo Total – se pensasse di approfittare di un eventuale raffreddamento dei rapporti tra Roma e Tripoli.
E’, quindi, nostro massimo interesse impegnarci per favorire un clima di stabile intesa nelle relazioni che intratteniamo con un Paese che, oggigiorno, appare talmente imprevedibile e diviso al suo interno da far, sinceramente, rimpiangere i tempi in cui l’interlocutore principe sarà anche stato una mina vagante per l’ordine nel Mediterraneo, ma almeno era uno solo. Gheddafi, tra le altre cose, fu il mandante di stragi come quella di Lockerby con tutte le sue 270 vittime, eppure nessuno si indignò più di tanto quando, nel 1976, la LAFICO – finanziaria della Banca centrale libica – acquisì una quota del 9% del capitale della FIAT, fornendo all’Avvocato Agnelli ossigeno fresco in una fase di grosse difficoltà aziendali. E ben pochi provarono un senso di vergogna quando, in uno slancio di penoso servilismo, Berlusconi arrivò addirittura a baciare l’anello del bizzoso colonnello di Tripoli.
Dinanzi alla “ragione di Stato”, non ci sembra, quindi, il caso di arrampicarsi troppo sugli specchi per cercare di negare – come, stranamente, ha fatto Giorgia Meloni – il coinvolgimento del suo Esecutivo, addossando le responsabilità del salvataggio di Almasri ad inefficienze degli apparati della giustizia o, comunque, a cortocircuiti burocratici. La vicenda di queste ore non è poi così diversa da quella che ha portato, soltanto un mese fa, alla liberazione di un ingegnere sospettato di terrorismo, in cambio di quella di Cecilia Sala. Non abbia, quindi, la nostra premier alcun timore nel rivendicare, anche in questa fattispecie, il primato della politica, riconoscendo che, quando c’è di mezzo la “ragione di Stato”, non esiste alcun motivo per occultarne la presenza, ricorrendo goffamente a scuse alle quali tanto poi non crede davvero nessuno.




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